Sono entrato per la prima volta in un Microbirrificio artigianale nel 2010, quando in Italia se ne contavano ancora poco più di 200. Tolte poche realtà già strutturate su una dimensione aziendale, si trattava perlopiù di piccoli laboratori, nati quasi per gioco come naturale coronamento di quel percorso evolutivo che fa di un homebrewers un vero e proprio mastro birraio.
La genesi era quasi sempre comune: una passione condivisa tra amici all’interno di un garage o di uno scantinato, che pian piano si struttura in qualcosa di sempre più impegnativo, dapprima un secondo lavoro, fino a diventare un impiego stabile.
Il lavoro all’interno del Microbirrificio era svolto in genere da poche persone, di norma gli stessi soci, che si occupavano di tutto. Una dimensione in cui si era spesso costretti a privilegiare gli aspetti produttivi e trascurare la gestione amministrativa, rischiando così di rimanere soffocati o addirittura di soccombere sotto il peso di norme, tasse e burocrazia.
Dal punto di vista normativo i Microbirrifici, infatti, erano ancora equiparati ai grandi impianti industriali, e per questo assoggettati ad un regime di tassazione sproporzionato e ad adempimenti fiscali troppo complessi, rigidi e onerosi da sostenere.
Nonostante il freno della pressione fiscale, un assetto normativo ancora inadeguato e la concorrenza sleale dell’industria che ormai da anni prova a confondere il consumatore “utilizzando linguaggi e concetti artigianali”, il settore dei Microbirrifici in Italia ha continuato a crescere in modo costante con tassi annuali spesso superiori al 20%. Stando agli ultimi dati diffusi dal sito Microbirrifici.org, se si esclude la categoria dei Beer Firm (300), oggi in Italia tra Microbirrifici e Brewpub si contano oltre 700 produttori. Si passa dai piccoli laboratori con clientela a “kilometro 0”, a realtà imprenditoriali più strutturate, in grado di conquistare i mercati esteri e ritagliarsi spazi importanti anche nella grande distribuzione.
Fortunatamente oggi, anche grazie all’operato di associazioni come Unionbirrai, da sempre schierata al fianco dei Microbirrifici a tutela degli interessi dell’intero settore, il quadro generale può dirsi cambiato in meglio. Le norme sulla semplificazione, la digitalizzazione degli adempimenti doganali ed una seppur minima diminuzione delle accise, hanno reso più semplice il lavoro e potranno stimolare un ulteriore salto di qualità per l’intero settore.
In particolare dal 2016 il governo ha finalmente approvato una legge che sancisce una volta per tutte la definizione di Birra Artigianale in Italia e la distingue dalle produzioni industriali: “Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi”.
La speranza è che a questa definizione possano seguire ulteriori misure che mirino non solo a tutelare e supportare i Microbirrifici artigianali sul piano fiscale e burocratico, ma anche a garantire la qualità del prodotto finale nei confronti del consumatore.
Marco Battaglia